La croce non cristiana e
i padri della chiesa

CAPITOLO VII — I FONDATORI DELLA CHIESA

Dopo avere già portato non poche prove per credere che l'adozione della croce come nostro simbolo è dovuta al fatto che noi cristiani abbiamo contribuito ad assicurare il trionfo dell'ambizioso capo dei Galli, e dopo avere ricevuto innumerevoli piccoli favori da Costantino durante il tempo in cui regnò su Roma, quantunque non come plenipotenziario, e averne infine ottenuto l'instaurazione della cristianità come religione di stato dell'impero romano, adattando il più possibile il vittorioso trofeo ed altri simboli cruciformi venerati dai Galli e da altri adoratori del dio Sole alla nostra fede, è desiderabile soffermarci sulla biografia dell'uomo che acclamiamo come primo imperatore cristiano.

Per potere procedere adeguatamente su questo percorso, dobbiamo cominciare ad esaminare i fatti inerenti a Costanzio Cloro, padre di Costantino, e al favore che godeva presso il suo protettore, l'imperatore Diocleziano.

Diocleziano sentiva che, a causa delle sue malferme condizioni di salute, il potere supremo sullo sterminato impero romano era troppo oneroso per potere agire con efficacia e nel 286 d.C. nominò Massimiano coimperatore. Nel 292 d.C. Diocleziano conferì la carica inferiore col titolo di Cesare a Galerio e a Costanzio Cloro. Nel 305 d.C. Diocleziano abbandonò del tutto il potere, costringendo Massimiamo ad abdicare assieme a lui, facendo sì che Galerio e Costanzio Cloro conseguissero l'ambito titolo di Augusto come coimperatori; Galerio comunque era più elevato di grado, dato che Diocleziano aveva conferito al governatore dell'Illiria e non a quello della Gallia la facoltà di nominare cesari che governassero l'Italia e l'Oriente.

Costanzio Cloro morì in Britannia nel 306 d.C., l'anno successivo all'abdicazione di Diocleziano. Galerio, che aveva sposato la figlia di quest'ultimo, pensò che le circostanze dessero a lui il diritto di conseguire il potere assoluto.

Tuttavia, al posto suo le legioni della Gallia proclamarono Augusto il figlio di Costanzo Cloro, cioè Costantino. Allorché questi ottenne la nomina, conseguì un potere rivale che Galerio fece del suo meglio per contenere nel ruolo inferiore di Cesare.

Subito dopo, Galerio conferì il titolo di Augusto a Severo, qualche tempo dopo che la Città Eterna fu ceduta a Galerio con la rivolta di suo genero Massenzio, figlio di Massimiano.

Dopodiché il Senato di Roma chiese a Massimiano di rivestire la porpora e di condividere con Massenzio il potere e il titolo di Augusto. In seguito, su richiesta di Galerio, Severo marciò su Roma, ma venne sconfitto e ucciso.

Dopo avere pressoché subito l'ostracismo del figlio Massenzio, nel 308 d.C. Massimiano si recò in Gallia e diede sua figlia Fausta in sposa a Costantino, conferendogli nel contempo il titolo di Augusto.

Verso lo stesso periodo, Galerio conferì al suo amico Licinio il titolo di Augusto al posto di Severo, al che Massimino, governatore di Siria ed Egitto, chiese ed ottenne lo stesso titolo.

Perciò, nel 308 d.C. non c'era un unico imperatore romano, ma ce n'era quasi una mezza dozzina. Costantino e Massimiano in Occidente, Massenzio a Roma, Galerio, Licinio e Massimino altrove, per non menzionare Diocleziano, il quale era contento di essersi ritirato a vita privata e di restare appartato.

Questa palese disgregazione dell'impero romano creò un'opportunità favorevole a Costantino, che in quel momento aveva sotto di sé un popolo fedele e bellicoso. Tanto più che, invertendo per quanto gli era possibile la tradizionale linea politica di Roma verso i cristiani, ed esponendosi come campione di una religione che era stata perseguitata perché non nazionalizzata, Costantino era certo di avere il sostegno entusiastico dei cristiani sparsi in tutti i territori dei suoi rivali.

Nel 310 d.C. Costantino pare che facesse giustiziare suo suocero, l'imperatore Massimiano, o lo costrinse a suicidarsi, sbarazzandosi così del primo dei suoi rivali.

Nel 311 d.C. una malattia stroncò il più formidabile rivale di Costantino, l'imperatore Galerio, che aveva indubbiamente una rivendicazione più autorevole alla carica di unico imperatore, spianando così opportunamente la via al governatore della Gallia.

Nel 312 d.C. Costantino marciò alla testa della legione gallica contro l'imperatore Massenzio, lo sconfisse nei pressi del ponte Milvio fuori di Roma ed entrò trionfalmente nella Città Eterna. Pare che Massenzio affogò nel Tevere. Il Senato decretò che Costantino avesse il ruolo supremo fra i tre Augusti rimasti

Nel 313 d.C. l'imperatore Massimino fece guerra all'imperatore Licinio e fu sconfitto. Di lì a poco morì.

Circa dieci anni dopo Costantino fece guerra al suo unico rivale rimasto, Licinio, e lo sconfisse, restando così lui solo imperatore nel 324 d.C.

Che a dispetto delle sue grandi qualità di governante il carattere di Costantino non fosse perfetto, risulta subito evidente dal fatto che, non contento di giustiziare l'imperatore Licinio dopo avere accettato la sua sottomissione, mise a morte il giovane Licinio, di non oltre 12 anni d'età, e di 2 o 3 anni più giovane, secondo alcuni storici. Inoltre mise a morte il suo stesso figlio Crispo ed altri parenti.

Si racconta che Costantino fosse così torturato dal ricordo di questi e di altri crimini che implorò il perdono ai sacerdoti degli dèi di Roma, ma essi coraggiosamente gli risposero che per quei crimini non poteva esserci perdono, al che questo adoratore del dio Sole si rivolse ai suoi amici cristiani ed essi gli concessero quello che egli desiderava. Tuttavia questa versione sembra un po' inverosimile, dato che ci si aspetterebbe che i sacerdoti pagani, chiamati da un pontefice massimo, che come tale era loro capo spirituale oltre che politico, non avessero alcuno scrupolo ad inventare qualche rito purificatorio, quand'anche non ne fosse esistito alcuno, pur di garantire la cancellazione della macchia di ogni crimine per placare l'ira del cielo.

Invece le responsabilità dei cristiani risultano vere. Questi orrendi crimini commessi tutti da Costantino nei numerosi anni successivi alla sua presunta conversione alla nostra fede, mostrano quanto sconsiderati noi siamo nel darci inutilmente pena di considerare cristiano quest'uomo che rifiutò di aderire alla chiesa cristiana tranne che in punto di morte e in probabile stato di semincoscienza.

Si narra che questo rifiuto di battezzarsi fino alla soglia del decesso, mentre era attorniato da prelati della chiesa che avrebbero forse diffuso la diceria che egli si fosse lasciato battezzare, quantunque non indotto da loro a fare quel passo decisivo, fosse dovuto, non al desiderio di credere, ma dall'eccesso di credere. Costantino pensava che più ritardato avesse il rito battesimale, più crimini avrebbe cancellato, o in altri termini, che quel procrastinare gli avrebbe consentito di prolungare la sua pratica di peccato fino all'esito finale dell'impunità.

Può darsi che le cose siano andate così, ma nello stesso tempo bisogna tenere presente che, fosse stato Apollo o Cristo la divinità venerata da Costantino, sembra probabile che questa divinità fosse stata il dio Sole, giacché ogni cosa tende a dimostrare che questo astuto imperatore, naturalmente desideroso di stabilire e plasmare una religione con tutti i suoi soggetti di ogni razza o nazionalità, alla quale ci si era aspettata ragionevolmente una sua adesione, agì nel corso del suo regno come supremo governante del mondo romano, se non per tutto l'arco della sua carriera politica e militare, come se Cristo fosse stato solo un'altra concezione del dio Sole che lui aveva adorato come Apollo e che tutte le nazioni avevano venerato sotto questo o sotto altro nome.

Questo punto è dimostrato non solo dal fatto che sulle sue monete Costantino fece coniare sempre che il dio Sole era la sua invincibile guida e il suo protettore, perfino il datore della vittoria prefigurata dalla presunta visione della croce o monogramma di Cristo sul sole di mezzogiorno, ma è pure chiaramente dimostrato da alcuni fatti connessi alla fondazione della nuova metropoli, avvenuta verso la fine della sua vita, che in meno del volgere di un secolo arrivò ad eguagliare Roma in tutto tranne che nell’antichità.

La Nuova Roma o, come ora la chiamiamo, Costantinopoli, la città di Costantino, fu edificata sul posto di quella che spesso viene chiamata Bisanzio. Non fu progettata prima del 324 d.C. e non fu dedicata prima del 330 d.C., o, come alcuni pensano, in data più tarda: alla morte di Costantino nel 337 d.C.

Ci risulta che Costantinopoli fu dedicata alla Vergine madre di Dio. Questo dovrebbe rammentarci che molto prima della nostra era e proprio verso il tempo in cui Costantino fondò a Bisanzio la nuova capitale, quel luogo era considerato dedicato alla vergine Regina del cielo.

Sarebbe stato ovvio aspettarsi che, nella centrale piazza d’onore della sua nuova metropoli, Costantino avesse eretto qualcosa che onorasse la divinità alla quale attribuiva le sue vittorie.

A chi era dedicata allora la statua che Costantino, alla fine della sua vita, fece erigere al centro del Foro della Nuova Roma circa vent’anni dopo la sua presunta conversione alla nostra fede?

Al dio Sole Apollo o, come lo intende qualcuno, a se stesso con gli attributi di quella divinità.

Per la verità, considerando la carriera di Costantino nel suo insieme, risulta del tutto plausibile la supposizione che egli fosse cristiano, vuoi per tattica politica o per convinzione, solo nella maniera in cui considerava Cristo una delle molte concezioni del dio Sole.

Costantino, come già è stato menzionato e sarà dimostrato in un altro capitolo, acclamò ripetutamente su molti differenti conii delle sue monete il dio Sole come suo compagno d'armi e autore dei suoi trionfi, e non fece mai nulla di diverso dal considerare l'Iddio adorato da noi cristiani come il dio Sole, pur attribuendo le sue vittorie a Cristo.

 

CAPITOLO VIII - CROCE E MEZZALUNA

Prima di esaminare l'evidenza inerente al simbolo della croce riportato sulle monete romane e altri cimeli dell'antichità, è necessario fare alcune premesse sul fatto troppo spesso dimenticato che gli antichi consideravano naturalmente il Datore della vita come un essere bisessuale e che secondo loro nessuna vita poteva esistere se non mediante la copulazione di elementi maschile e femminile.

Il carattere necessariamente bisessuale del creatore degli elementi maschile e femminile scaturì, si ricordi bene, dalla mente dei pensatori dell'antichità per tutto il tempo in cui essi in modo compiacente parlavano del dio Sole o Datore di vita come della personificazione dell'elemento maschile al quale associare una Sposa o Vergine Madre rappresentante l'elemento femminile.

Per di più, proprio come il disco del Sole, o la forma astrale che gli antichi spesso usavano per raffigurare il Sole splendente o fecondante, divenne per una logica naturale il simbolo dell'elemento maschile, così la Mezzaluna, come simbolo della Luna crescente e del minore dei due astri celesti più vicini alla Terra, similmente fu adottata come simbolo dell'elemento femminile.

Non è fuori luogo mettere in risalto una connessione fra quanto sopra e il simbolo di Costantino. Quantunque chiamata impropriamente "la Mezzaluna", quel simbolo è, come il lettore potrà benissimo rendersene conto, non semplicemente un astro crescente, ma qualcosa avente le estremità a forma di corni, nel cui interno concepiamo una figura astrale, che come tale definiamo. Sebbene sia possibile che il simbolo formato da quel connubio di astri non sia stato adottato dai musulmani con lo stesso intendimento, questo simbolo duale era pur tuttavia una combinazione di due antichi simboli degli elementi maschile e femminile.

Un'errata attribuzione dell'origine di questo simbolo al simbolo musulmano si riscontra in tutte le nostre opere di consultazione inerenti a questo argomento, come se i loro autori avessero copiato ciascuno dall'altro senza preoccuparsi di considerare le prove per se stessi.

La versione quantunque travisata, ma universalmente accettata dei fatti ha portato di conseguenza a credere che la cosiddetta stella con mezzaluna avesse avuto origine come simbolo musulmano dalla cattura di Bisanzio o Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453 d.C.; le nostre opere di consultazione attestano che questo simbolo fu adottato da Maometto II come il simbolo della famosa città dopo averla presa ai cristiani.

Ma "l'astro con mezzaluna" era il simbolo della città di Costantino? Sembrerebbe di no.

Come ho attestato in un precedente capitolo, l'antica Bisanzio era considerata, già molto prima della nostra era e attorno all'epoca costantiniana, dedicata alla vergine Regina dei cieli, il cui simbolo era una mezzaluna. Quando Costantino riedificò e rinominò Bisanzio, dedicò la Nuova Roma, o quella che noi chiamiamo Costantinopoli, alla vergine Madre di Dio e Regina dei cieli, il cui simbolo, come risulta da riferimenti a raffigurazioni sia antiche che moderne della vergine Maria, è pure una mezzaluna. Pertanto sembrerebbe piuttosto che il simbolo della città fosse più simile a una mezzaluna semplice, anziché a un cosiddetto "astro con mezzaluna".

Tale conclusione è del tutto scaturita dall'evidenza. Sebbene il cosiddetto astro con mezzaluna sia riportato su tre o quattro monete coniate a Bisanzio prima che Costantino pensasse di farne una Nuova Roma, questo prova ben poco, in quanto che il simbolo in questione era molto comune in epoca antica ed è stato trovato su molte monete coniate altrove.

Inoltre c'è da chiedersi quale fosse il simbolo di Costantinopoli al tempo in cui fu conquistata dai Turchi. Un esame delle monete coniate dai governanti cristiani di quella città durante tutti i mille e più anni del loro dominio rivelerà che, sebbene la mezzaluna con una croce fra i suoi corni appaia occasionalmente sulle monete dell'imperatore d'oriente e in uno o due casi notiamo una croce con bracci uguali ciascuno dei quali avente l'estremità infilzata a una mezzaluna, è improbabile che si possa trovare su di loro un singolo esempio di cosiddetto "astro con mezzaluna".

Da altre fonti apprendiamo pure che il simbolo della metropoli imperiale cristiana catturata dai Turchi circa cinque secoli fa e rimasta sotto il loro dominio fino ad oggi era una semplice mezzaluna. Non c'è dubbio alcuno che i Musulmani adottarono il simbolo duale, non al tempo della caduta della cristiana Costantinopoli, ma secoli prima, dopo la conquista persiana. Fu nel 641 d:C., nella battaglia di Nehavend, definita poi dai musulmani la Vittoria delle vittorie, che l'impero persiano o iraniano finì sotto il dominio islamico, mettendo fine alla monarchia sassaniana.

Fatto si è che le monete dei re sassaniani, allora e nei due secoli precedenti, recarono, salvo appena un'eccezione, il cosiddetto "astro con mezzaluna", che era il simbolo della dinastia zoroastriana della bella nazione iraniana, ancor prima che fosse adottato dai musulmani.

Ciò che il corpo celeste stellare (stellare, secondo le opinioni) rappresentava sulle monete della Persia, raffigurato all'interno della mezzaluna, era ovviamente il sole. La supposizione di certi scrittori che il simbolo duale rappresentasse sia Venere che Luna in fase crescente è del tutto errata.

Sebbene la congiunzione dei due astri femminili in fase crescente risalga all'antichità, come la combinazione del simbolo del sole, rappresentante l'elemento maschile, col simbolo femminile della mezzaluna, significanti prosperità e vita, qui si presenta quello che per ammissione generale è riconosciuto come simbolo di Mitra.

Il corpo stellare in questione non solo era il simbolo del dio Sole Mitra, ma, come può notare ogni studente delle monete della dinastia sassaniana, prese anche il posto del disco solare.

Sulle monete della dinastia sassaniana il cosiddetto astro, che non raffigurava né una stella né un pianeta, ma il sole splendente, sembra avere preso per la prima volta il posto del disco solare sotto il regno di Perozes verso il 457 d.C. Il disco fra i corni di una mezzaluna era il simbolo raffigurato sulle monete coniate sotto il regno di suo padre Isdigerdo II e di altri predecessori. Ma il simbolo duale chiamato erroneamente "astro con mezzaluna" era stato fino ad allora di antichissima età, come verrà dimostrato in un altro capitolo che tratterà vestigia fenice scoperte a Cipro ed altrove.

Il significato primario del simbolo duale in questione, spesso accompagnato sulle monete sassaniane generalmente da una preghiera per la prosperità o florida salute del monarca, era indubbiamente Vita.

Ed è chiaro che la congiunzione della mezzaluna come simbolo dell'elemento femminile della Vita con la figura stellare rappresentante il sole radioso, vivificante e fecondante, non doveva aver significato solamente Vita, ma anche il Datore di Vita necessariamente bisessuato.

Quindi perveniamo alla conclusione che la croce e la cosiddetta mezzaluna hanno significati più o meno simili.

Né c'è da meravigliarsi di questo rimarchevole fatto. Poiché sono solo delle parole e delle forme che dividono le varie fedi del genere umano, mentre nel cuore il solo oggetto dei nostri desideri è la vita.

Perfino coloro che per devozione sacrificano le loro vite a favore di altri, lo fanno con la speranza di essere ricompensati con la vita eterna nella beatitudine dopo la morte.

Un altro punto troppo spesso trascurato è che, se gli adoratori della mezzaluna sembrerebbero avere dimenticato il significato del loro simbolo e il fatto che esso alluda alla natura bisessuata del Creatore, noi adoratori della croce possiamo essere in una situazione simile riguardo al nostro simbolo. Poiché la croce come simbolo riconosciuto del Cristo non è più antica della conquista di Roma da parte dei Galli, e più o meno risale a quel tempo, è lecito dire la stessa cosa per i musulmani che hanno adottato come loro simbolo quello della nazione strappata da loro al dominio della dinastia sassaniana, piuttosto che quello della primaria e naturale interpretazione di cui erano contenti.

Ad ogni modo, la croce è un simbolo bisessuale più o meno come l' "astro con mezzaluna", cosa che risulta chiara a coloro che hanno capito come la croce fosse riconosciuta come naturale simbolo della vita già in epoche anteriori alla nostra era. Una buona illustrazione della cosa è rappresentata dal crocifisso del Carroccio di Milano, una reliquia ancora esistente, sotto la cui consueta iscrizione riconosciamo un Cristo androgeno crocifisso, con la testa maschile, ma col corpo femmineo, e recante al posto del panno o della foglia di fico una fallica crux ansata, che è una croce egizia simbolo della vita, posta lateralmente, come se l'ovale rappresentasse l'organo femminile della riproduzione, e il tau o croce taumata l'organo maschile.

Come la Croce Rossa attuale, il bisessuato crocifisso del Carroccio, un tempo così comune in Italia, fu un simbolo di vita e salvezza in due sensi; non solo in sé e per sé, ma per essere stato usato sul campo di battaglia come punto intorno al quale si strinsero i soldati feriti per segnalare loro che potevano ricevere bende, medicamenti e intervento chirurgico dove esso torreggiava in alto.

Questi riferimenti al fatto che le generazioni dell'antichità pervenissero in modo molto naturale alla conclusione che il Creatore e Datore della vita e solo Redentore dovesse essere bisessuato, dovrebbero rammentare a noi cristiani che la nostra asserzione che lo Spirito Infinito è "Padre Nostro" non rappresenta da ogni punto di vista un miglioramento rispetto al concetto degli antichi. Poiché essi concepirono anche e giustamente — cosa che noi a torto ignoriamo — che l'Autore infinito di ogni esistenza dovesse essere anche "Madre Nostra".

A questo riguardo è possibile che i protestanti siano andati fuori strada perfino molto di più che i membri delle chiese greca e cattolica. Giacché nella venerazione tributata in epoche più tarde a Maria di Nazaret come Sposa di Dio, Madre di Dio, Stella del Mare e Regina dei Cieli può essere ravvisata una sopravvivenza, per quanto mitigata e distorta, dell'antico concetto che la divinità dovesse essere necessariamente bisessuata.

Perfino la chiara evidenza che in epoca precristiana il simbolo della croce rappresentava la congiunzione dei due elementi sessuali, evolvendosi in epoca cristiana a simbolo della vita e divenendo il FIGLIO di Dio, dovrebbe per di più indurci a rilevare che la nostra religione a malapena rende giustizia al ruolo esercitato dal sesso femminile nell'economia della Natura. Ciò è dovuto indubbiamente al fatto che lo sviluppo del nostro credo e l'interpretazione di cose difficili da comprendere sono stati per la maggior parte nei vincoli del sesso, che, per quanto compete all'autore, può per contrasto essere definito ingiusto.

Che cosa, per esempio, può essere più ingiusto della supposizione che Dio, se incarnato come uomo, doveva nascere maschio? Fino ad oggi questa tesi è ancora il vero fondamento della moderna cristianità.

Per di più, anche ammettendo che la divinità fosse incarnata specialmente in Gesù il Nazareno e quindi nel sesso maschile, perché noi dovremmo, come se supponessimo che una forma transitoria potesse imprimere il suo sesso ad uno Spirito Infinito, parlare di "Dio il Figlio" e tuttavia mai di "Dio la Figlia"?

Il fatto è che naturali incapacità e svantaggi della procreazione hanno in primo luogo fatto sì che il sesso maschile facesse da padrone, e una conseguenza del predominio assicurato al sesso maschile dalle leggi della Natura è stata ovviamente il prevalere dell'opinione che il Creatore sia di sesso maschile.

Qualche entusiastica appartenente al sesso femminile, alludendo al fatto che il sesso opposto detenga ora il monopolio del sacerdozio, può perfino giungere a domandare con un speciale significato se non siano stati gli appartenenti al sesso maschile a fare Dio a loro immagine.

Tuttavia, il sesso maschile non ebbe sempre il monopolio del sacerdozio; pochissimi furono i casi in cui i sacerdoti dell'antichità insegnavano, naturalmente con ossequio tributato alla divinità o a se stessi, che il Creatore appartenga al sesso maschile, e soltanto a questo. Non hanno mai pensato a una simile cosa. Nonostante i differenti dei fossero menzionati come appartenenti al sesso sia maschile che femminile, si venerava più di una divinità androgina. L'esistenza di un Creatore e Datore di vita era generalmente riconosciuta. E un fatto per niente sicuro è che nemmeno la nostra Bibbia descrive il Creatore come androgino; poiché nel racconto della Creazione, che gli ebrei portarono con sé lasciando Babilonia, sta scritto che il Creatore disse "Facciamo l'uomo a nostra immagine". Solamente una razza come gli ebrei, che aveva dichiarato solennemente che non esiste altro che un solo Dio, sembrerebbe aver accettato tale dichiarazione come rivelazione divina, se avesse concepito Dio nell'atto di manifestarsi androgino e di rivolgersi all'altra parte di sé. Questo spiegherebbe l'enfasi data all'affermazione che l'uomo fu creato "maschio e femmina", a immagine e somiglianza del Creatore.

In ogni caso è chiaro che, se Dio non avesse qualità femminili quanto maschili, l'uomo non sarebbe stato creato a sua somiglianza. La teoria degli antichi che l'uomo fu creato androgino, capace, come il Creatore, di generare vita in se stesso, e in seguito diviso in due metà, ciascuna delle quali sempre desiderosa di unirsi all'altra, ha bisogno di essere solo menzionata.

Basti aggiungere che a malapena si possa menzionare un progresso complessivo nella giusta direzione che abbia indotto noi mortali a nominare l'Autore di ogni vita "Padre Nostro" ad ulteriore offuscamento del fatto ugualmente importante che la divinità da cui dipende la nostra esistenza e attività, debba essere anche "Madre Nostra".

 

CAPITOLO XV - LA CROCE PRECRISTIANA IN EUROPA

Che il simbolo della croce era venerato in Europa molto prima della nostra era, è un fatto ben noto agli archeologi.

Della Britannia di quei giorni noi sappiamo pressoché nulla, essendo quasi assente la storia circa il soggetto e rimarchevole l'assenza di vestigia. Tuttavia la croce è una caratteristica notevole presente su certe urne funerarie che si dice risalgano al periodo in questione. Ed è degno di nota che sia essa che la ruota solare appaiano su alcune delle monete britanniche più antiche; se queste siano state, a detta di alcuni, emesse prima o, a detta di altri, dopo l'avvento di Giulio Cesare, non toglie nulla al fatto che siano certamente di epoca precristiana.

Evidenze della venerazione della croce in Francia prima della nostra era sono così numerose e facilmente accertabili, che basta portare all'attenzione del lettore solo la Collection Roujou, le pagine della Revue de Numismatique, gli scritti di Messieurs De la Saussaye, Lenormant, De Saulcy, E. Lambert e di altre autorità francesi.

Continuando la nostra rassegna ad est della Francia e superando il confine, giungiamo nell'Italia settentrionale e qui troviamo un'ugualmente sensazionale evidenza di venerazione del simbolo in questione in epoca precristiana.

Esaminiamo ad esempio l'evidenza fornita dalle rimarchevoli scoperte fatte nel cimitero di epoca precristiana, dissotterrato a Golasecca, nelle cui antiche tombe è stata ritrovata una vasta quantità di oggetti sui quali compare un certo tipo di croce dalla caratteristica notevole.

Particolari di questi articoli sono riportati nei giornali letterari e scientifici francesi. E la conclusione a cui pervengono le autorità su questa materia non può essere espressa meglio che nell'edizione riveduta del libro in cui è riportato un articolo tratto dalla Revue Archeologique di Monsieur G. de Mortillet.

Dopo essersi riferito alle molte vestigia dell'antica Gallia incluse nella moderna Francia, egli prende congedo da un soggetto con le seguenti parole:

"Ma il culto precristiano della croce non fu confinato alla Savoia e ai pressi di Lione. Un'occhiata alle monete dell'antica Gallia è sufficiente per mostrare che la croce [o il suo culto] esisteva quasi dappertutto".

M. de Mortillet, superata la frontiera e andato sulle tombe di Golasecca nei pressi di Milano in Italia, fa il seguente riepilogo:

"Si nota senza alcun dubbio qualsiasi riferimento all'uso della croce come segno religioso per molto tempo prima del cristianesimo. Il culto della croce era molto diffuso oltre la Gallia prima della sua conquista ed esisteva già in Emilia nell'età del bronzo, più di mille anni avanti Cristo".

[Riferimento aggiunto dal traduttore al libro Le Signe de la Croix avant le Cristianisme, par Gabriel de Mortillet, Paris, 1866, cap. I, pagg. 5-9, 44-49; cap. III, pagg. 98.99, 124-127, del quale possiede fotocopie di testo e figure fotocopiati alla Biblioteca Braidense. Golasecca (VA) si trova nei pressi del Ticino, fra Somma Lombardo e Sesto Calende]

Andiamo ora in un'altra nazione, la Svizzera. Anche qui ritroviamo ineccepibile evidenza della generale accettazione della croce anteriore alla nostra era come simbolo che doveva essere venerato al di sopra di tutti.

Le dimore lacustri della Svizzera pare avessero portato alla luce delle vestigia, a causa di un'eccezionale siccità avvenuta negli anni 1853-4 d.C.; sebbene palafitte e antichi resti erano stati trovati sulle rive di vari laghi prima di quella data, non avevano destato grande attenzione finché la siccità in questione non aveva abbassato il livello delle acque del lago di Zurigo e di altri laghi ad un minimo senza precedenti e certe scoperte fatte a motivo di questo evento condussero a una completa investigazione da parte degli antiquari.

Il risultato fu che molti resti degli abitanti lacustri furono ritrovati. Su di essi si trovò il simbolo venerato da quella antica razza dimenticata, ed era il simbolo della croce.

Questi resti, preservati per noi dai sedimenti depositati nei laghi da vari fiumi, non possono essere meno vecchi di 3.000 anni, non è improbabile che siano vecchi di 4.000 anni, ed abbastanza possibile che siano vecchi di 5.000 anni. Alcune autorità — come ad esempio Monsieur Morlot — hanno stimato la loro età intorno ai 6-7.000 anni. Basti prendere nota del fatto che questi resti sono certamente precristiani.

Sugli articoli in questione e su quelli scoperti nelle tombe di Golasecca, la croce è impressa come simbolo di vita, di buon auspicio e di salvezza. Fra i resti degli antichi abitanti lacustri furono trovati perfino degli stampini per imprimere il segno della croce sulle loro suppellettili. Quel segno della croce è di tre tipi: (1) La croce con 4 bracci uguali ad angolo retto, dei quali molte varianti, e alcune, racchiuse in un cerchio ed altre con le estremità allargate e arrotondate, usate come simboli cristiani; (2) la croce con 4 bracci uguali, conosciuta come croce di Sant'Andrea o croce Chi; (3) la croce uncinata o svastica.

L'ultima è peculiare per il suo disegno davvero inconfondibile; ce ne sono due tipi, uno con gli uncini rivolti verso destra e l'altro con gli uncini rivolti verso sinistra, essendo ciascuno l'immagine opposta dell'altra. I termini croce uncinata e svastica sono applicati a questi simboli molto generalmente. Il termine svastica, di origine indiana, è tuttavia applicato dagli abitanti dell'Indostan ad un tipo soltanto; l'altro tipo lo chiamano sautvastica.

E' singolare il fatto che i significati di questi due termini, come i simboli affini in natura, sono il negativo o l'opposto ciascuno dell'altro. Per esempio, sappiamo da Sir G. Birdwood che la svastica con gli uncini rivolti a destra significa l'elemento maschile, il sole nel suo movimento quotidiano da levante a ponente, luce e vita; mentre la svastica con gli uncini rivolti a sinistra significa l'elemento femminile, il sole nell'ades o gli antipodi nel loro movimento da ponente a levante, le tenebre e la morte.

Questa affermazione più o meno ufficiale può essere ritenuta attendibile, sebbene sia ovvio fare riferimento al movimento sia annuale che quotidiano del sole; il semestre compreso tra l'equinozio primaverile e quello autunnale rappresentante luce e vita, e il semestre compreso tra l'equinozio d'autunno e quello primaverile rappresentante tenebre e morte, proprio in sintonia con la notte e il giorno determinati dal tramonto e dal sorgere del sole. Però c'è da temere che perfino quelli che rammentano quanto spesso si faccia riferimento alla morte e alle tenebre come a periodi di gestazione, avranno difficoltà a notare come un segno o simbolo del potere generativo femminile possa avere significato morte.

Ovviamente il simbolo in questione ha rappresentato sia vita che morte, e quest'ultima soltanto in un senso minore, a motivo del fatto che l'elemento femminile è stato considerato come il necessario opposto negativo o complemento dell'elemento maschile, e di più come iniziatore della vita, identificato in maniera più particolare con la vita e di conseguenza con il dio Sole primaverile.

Sembrerebbe che i due simboli in questione significhino fino a un certo punto fuoco e acqua; il fuoco ovviamente come simbolo di elemento maschile, giorno, estate, luce e vita; l'acqua come simbolo dell'elemento femminile. In relazione con quanto detto, il fuoco, benché in antitesi all'acqua, non può produrre vita senza l'ausilio dell'acqua.

Tornando comunque alla nostra considerazione della croce come simbolo di vita con origini in epoca precristiana e dopo avere considerato le sue relazioni con nazioni come Britannia, Francia, Italia e Svizzera, passiamo ora alla Grecia.

A Micene ed altrove il Dr. Schliemann scoprì, fra altri resti di età antica, non solo articoli ornati con la svastica e la croce a bracci uguali, ma perfino sigilli e stampi per imprimere questi simboli, dimostrando così quanto fosse esteso e prevalente l'uso del simbolo della croce in epoca precristiana fra coloro nella cui lingua classica furono scritte le prime copie delle Scritture Cristiane secoli dopo.

È pure rimarchevole che, sempre a Micene, il Dr. Schliemann trovò croci dorate in tombe non violate e altre cinque con corpo singolo collocate da coloro che sigillarono le loro volte migliaia di anni fa e molti secoli prima dell'inizio della nostra era.

Poiché poche tombe non violate di così antica data sono state scoperte in Grecia ed esaminate da un esploratore degno di fiducia, e per di più col ritrovamento di croci di materiale pregevole come l'oro grazie all'importanza di persone sepolte lì, queste scoperte, associate all'ovvia circostanza in cui croci di materiale più deperibile erano state seppellite insieme a corpi di persone meno importanti, e ridotte in polvere con le tombe che le contenevano, da quel tempo in poi acquistarono la massima importanza.

Questi ritrovamenti corroborano completamente la testimonianza data dalle monete dell'antica Gallia, dai contenuti delle tombe di Golasecca e dalle vestigia degli abitatori lacustri della Svizzera alla venerazione che gli abitatori dell'Europa dedicavano, molto tempo prima della nostra era, alla croce come riconosciuto simbolo della vita. Né come solo simbolo della vita che termina nella tomba, ma anche della gloriosa speranza che come il sole, dal quale proviene la nostra vita, se considerato il suo ciclo diurno o annuale, tramonta e risorge, affinché noi, che dobbiamo le nostre brevi vite al dio Sole, possiamo, a somiglianza del Datore della vita e solo Redentore, risorgere da una vita ad un'altra.

Quindi, se gli antichi fossero o non fossero mancanti di filosofia abbastanza da credere nella risurrezione dei corpi con i loro atomi in continua mutazione e temporanemente componenti di altri corpi, è assurdo supporre che essi non concepissero, come noi stessi, la speranza di una, se inattesa e improbabile, vita avvenire.

Per giunta essa è per noi, come lo fu per loro, una speranza; ed è disonesto definire cristiano ciò che è stato precristiano, e di considerare nostro ciò che era di dominio pubblico alle menti razionali di uomini e donne sofferenti di tutte le epoche.

Ed è altrettanto disonesto da parte di noi cristiani mettere in ombra il notevole fatto che perfino in ere precristiane il simbolo di quella speranza fosse la croce.

 

CAPITOLO XVI - LA CROCE PRECRISTIANA IN ASIA

Passando dall'Europa all'Asia, troviamo non solo le due varietà di croci a svastica che per millenni hanno avuto un ruolo notevole come simboli religiosi in Indostan, Tibet e Cina, ma anche altri tipi di croci che furono venerati dai loro abitanti in epoche antiche.

Per esempio, il nostro impero d'oriente è disseminato di vestigia di antichi templi costruiti, come quelli della cristianità in epoche successive, a forma di croce; sappiamo che le loro più antiche grotte furono scavate nella roccia secondo lo stesso disegno. È risaputo che in varie parti dell'India si trovano isolate croci di pietra di data preistorica.

La prova trovata in Indostan è tuttavia controbilanciata da quella proveniente dalle antichità dell'Asia occidentale, inerente ad alcune delle quali Sir A.H. Layard scrisse: "La crux ansata, il tau o simbolo della vita è presente nelle sculture di Khorsabad, sugli avori di Nimroud, che, come ho dimostrato, sono della stessa età, usata anche da un re assiro".

Notiamo pure i fatti altrettanto significativi che il riconosciuto simbolo della dea fenicia dell'amore Astarte, Astoret o Ishtar, la sposa del dio Sole, era una croce; che una croce era anche associata al Baal fenicio o dio Sole; che il circolo e la croce, ora il simbolo del pianeta consacrato alla dea dell'amore, appare frequentemente sulle monete antiche dell'Asia occidentale ed aveva probabilmente un significato più o meno affine a quello della crux ansata egiziana. Degno di menzione è pure il ritrovamento su antiche vestigia tuttora esistenti del Baal rappresentato con una circolare aureola radiosa.

La croce connessa più specialmente con la fenicia dea "Sposa del dio Sole" in epoca antica, come si può evincere facilmente da riferimenti ad antiche monete, compariva nella mano della dea in questione col braccio allungato come il tipo di croce che appare frequentemente nei dipinti riproducenti Giovanni Battista.

Poiché Giovanni Battista era asiatico e in un certo modo asiatico precristiano, noi possiamo, senza allontanarci troppo dall'argomento, fare una pausa per considerare la questione sul perché noi cristiani rappresentiamo Giovanni Battista, che non aveva niente a che fare con la croce, nel portare una croce come se Gesù non fosse creduto rappresentare il sole nella sua ascesa annuale e Giovanni non fosse creduto rappresentare il sole nella sua annuale declinazione. Quale altra spiegazione razionale abbiamo del fatto che Giovanni dica che egli battezzava con l'acqua, ma che Gesù avrebbe battezzato col fuoco (dove si fa riferimento alle piogge invernali e al calore estivo); che la chiesa cristiana nell'elaborare il suo calendario fissò il genetliaco di Giovanni Battista per il solstizio d'estate e il genetliaco di Cristo per il giorno che ha la stessa relazione all'altro solstizio, come se desiderasse illustrare l'altra rimarchevole affermazione di Giovanni in relazione a quando il suo giorno inizia ad accorciarsi, mentre il giorno di Cristo comincia ad allungarsi "Egli deve continuare a crescere, ma io devo continuare a diminuire"?

La probabilità che il suo originale significato di vita e di salvezza fosse aggiunto alla croce come riconoscimento del fatto che la salvezza della vita terrena in generale e del genere umano in particolare sia dovuto al fatto che all'equinozio di primavera il dio Sole "incrocia" per salvare, in modo che incrociando l'equatore consenta l'avvento dell'estate, i prodotti della terra e quindi la salvezza e la prosperità, è supportata da evidenze provenienti da ogni fonte.

Se rifiutiamo di ammettere che la cristianità è permeata dal concetto di venerazione del dio Sole, non solo non offriremo alcuna razionale spiegazione delle profezie pronunciate dagli evangelisti per bocca di Giovanni Battista, che Gesù avrebbe adempiuto battezzando col fuoco e continuato a crescere, ma non spiegheremmo neppure una delle poche notevoli caratteristiche della nostra religione, come quando, ad esempio, pretendiamo di rivendicare tutti i Dieci Comandamenti, e ne facciamo giorno di riposo non il settimo, ma il primo, quello che da tempo immemorabile fu ritenuto sacro in tutto l'impero romano cpme Dies Solis, il giorno del Sole [domenica]. Quando dichiariamo che Gesù non fu reso il soggetto dell'allegoria del dio Sole, ma uscì intenzionalmente dagli inferi nel giorno del sole, al tempo dell'equinozio di primavera, annullando così un comandamento pronunciato precedentemente da Dio e sostituendolo con un altro quietamente, questo serve solo a renderci ridicoli.

Tornando tuttavia all'argomento di cui ci siamo più particolarmente occupati, si deve mettere in risalto che la crux ansata menzionata da Layard non è il solo tipo di croce ritrovato fra le vestigia delle antiche nazioni di Babilonia e Assiria. Vi si trovò anche la croce con i bracci uguali e la ruota solare.

Per di più, come tutti i visitatori dei nostri musei avranno notato, i monarchi lì raffigurati nel posto d'onore recano intorno al collo e sul loro petto una croce maltese. E questa croce, portata dai monarchi per secoli prima della nostra era come simbolo da venerare al di sopra di ogni altro, nel suo migliore significato simboleggiante il loro potere sulle vite dei loro sudditi e la loro posizione come vicari del dio Sole, è accreditata da tutte le migliori autorità come il segno e il simbolo del dio Sole.

 

CAPITOLO XVII - LA CROCE PRECRISTIANA IN AFRICA

Passando in Africa per considerare la crux ansata o la cosiddetta 'Chiave del Nilo', notiamo che questa varietà di croce aveva molto del significato che le era stato attribuito dagli antichi più di quanto fosse stato attribuito alle sue estesamente accettate varietà.

In verità, chiunque non fosse edotto in antichità egizie e volesse studiare a fondo questo simbolo, finisce per non essere convinto che la croce egizia era un simbolo fallico riferito a poteri sessuali procreativi e al sole, e quindi come simbolo di vita e del Datore di vita.

La connessione fra la crux ansata e il dio Sole nelle menti degli abitanti della terra del Nilo in epoca precristiana è prodotta chiaramente da un'illustrazione di Khuenaten nell'atto di distribuire doni ai suoi cortigiani a fronte della pag. 40, volume I, di "Manners and Customs of the Ancient Egyptians" [Comportamenti e costumi degli antichi Egizi] di Sir J. Gardner Wilkinson. Giacché questo monarca, pure conosciuto come Amenofi IV, e la sua sposa sono entrambi raffigurati nell'atto di ricevere la crux ansata dal dio Sole, e il Sole è contrassegnato con la crux ansata come suo simbolo peculiare. Alla tavola IV a fronte della pag. 43 della stessa opera famosa, noi notiamo Seti I, sormontato dal Sole adorno di due croci, che, per di più, sono unite a due serpenti uscenti dal Sole, i quali simboleggiavano in antica epoca i poteri sessuali.

Alla pag.405 è raffigurato il dio egizio Khem o Amon-Ra Generatore, il Priapo egizio o dio della generazione. I nomi di questa divinità fallica mostrano la sua connessione col dio Sole.

È degno di nota che questa particolare concezione del dio Sole sia accompagnata da emblemi degli organi sessuali della riproduzione e che egli rechi una croce di Sant'Andrea sul suo petto.

Alla pag. 24 del volume III della stessa opera appare un'altra raffigurazione di Khem o Amon-Ra Generatore. Anche in questo caso egli è unito a emblemi fallici e solari e reca una croce di Sant'Andrea sul suo petto.

Alla pag. 26 Sir J. Gardner Wilkinson dichiara che "Khem era considerato l'influenza generativa del sole, da cui forse discende la ragione della sua connessione con Amon-Ra; in una delle didascalie geroglifiche associate al suo nome egli è chiamato il sole, cioè il potere procreatore della sola fonte di calore, che assiste perennemente le varie specie create".

Alla tavola XXII, a fronte della pag. 44 del volume II, ci sono tre differenti esempi di crux ansata associate al sole come simbolo del dio Sole.

Alla pag. 46 c'è un altro esempio di crux ansata associata al serpente solare uscente dal disco solare.

Alla tavola XXIII, a fronte della pag. 52 c'è un'altra figura che riceve la crux ansata dal dio Sole.

Alla pag. 82 Sir J. Gardner Wilkinson commenta giustamente che è assurdo parlare di crux ansata o croce egizia come Chiave del Nilo, in quanto che questa croce "compare meno frequentemente nella mano del dio Nilo che di ogni altra divinità del pantheon egizio".

Alla notevole tavola XXXI, a fronte della pag. 136, notiamo iscrizioni che definiscono il regnante Faraone come "Vicario del Datore di vita eterna" o, in altre parole, il dio Sole. Altre espressioni applicate al Faraone sono "Datore di vita e potenza simile al sole"; "Colui che dà ogni vita, stabilità e salute come il sole" e "Approvato Sole e Datore di vita come il Sole".

È quindi chiaro che in epoche anteriori alla nostra era la croce era venerata sia in Egitto che in altre nazioni come il simbolo sia della vita che del Datore di vita, e che la divinità venerata come Datore di vita e sempre associata col benefico simbolo della croce era il dio Sole.

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